Squilli e telefonate mute rientrano nelle molestie telefoniche

Non occorre un contenuto minaccioso o a sfondo sessuale per configurare il reato di stalking a seguito di SMS o telefonate.

E’ quanto stabilito dalla Suprema Corte di Cassazione con sentenza n. 5316 del 2015, a seguito del ricorso dell’ex marito che inviava messaggi e telefonate alla ex moglie in maniera ossessiva per la frequenza e la costanza con cui venivano effettuati.

La donna si trovava in uno stato di ansia per via di tali messaggi e telefonate, le quali la pressavano, le provocavano uno stato perenne di turbamento psicologico.

La condotta dell’ex marito, infatti, è stata tale da porre in essere dei comportamenti persecutori capaci di configurare il reato ex art. 612 bis del codice penale, il quale sancisce: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, con condotte reiterata, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”.

Non vi è dubbio, dunque, che anche la condotta possa in essere dall’imputato abbia configurato tale reato : gli ermellini hanno dunque confermato la reclusione di 1 anno e 3 mesi per l’uomo.

Anche le telefonate mute ripetute con una certa frequenza, il silenzio è inquietante talvolta più di certe parole.

Rientrano nel reato di molestie telefoniche se si tratta di squilli che dai tabulati telefonici risultano associati allo stesso numero di cellulare intestato all’imputato (sentenza n. 9962/2014 Corte di Cassazione).

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