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E’ responsabile del reato di cui all’art. 570, comma 2, c.p. anche il cassintegrato che non versa il mantenimento. E’ quanto sancito dagli ermellini con sentenza n. 16810 del 22 aprile 2015.

In una controversia tra marito e moglie per il versamento dell’assegno di mantenimento, la Corte di Appello di Caltanissetta aveva condannato un uomo a scontare 7 mesi di carcere e a una multa di 700 euro, in quanto il marito, secondo la ricostruzione dei fatti considerata attendibile dai giudici di merito, pur essendo cassintegrato, svolgeva dei lavori pur precari e poteva, quindi, provvedere a versare il mantenimento di moglie e figlia minorenne.

Nonostante la precarietà dei lavori, pertanto, come confermato poi dalla Corte di Cassazione, rimane a carico del marito l’obbligo assistenziale la cui violazione integra il reato rubricato “Violazione degli obblighi di assistenza famigliare” e punito nel massimo con una pena di un anno di reclusione e la multa da 103 euro a 1.032 euro. Ad egli, inoltre, come sancito dagli ermellini, spetta l’onere della prova dello stato di impossibilità economica.

Tale sentenza, come argomentato al Palazzaccio, “non ha fatto altro che applicare consolidati principi in tema di valutazione dello stato di impossibilità economica ad adempiere dell’imputato del reato di cui all’articolo 570, comma 2, Cp, segnalando come competa all’imputato fornire compiuta dimostrazione della propria incapacità di adempiere l’obbligo contributivo giudiziale impostogli per assicurare i mezzi di sussistenza ai suoi prossimi congiunti”.

L’imputato, pertanto, non è riuscito a provare la totale assenza di redditi lavorativi, come è emerso durante la fase dibattimentale in cui il suocero aveva ammesso di aver mostrato alla moglie delle buste paga, oltre alle testimonianze che comprovavano il totale disinteresse dell’uomo nei confronti della famiglia.